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Connazionali, visitate l’Arbëria!


(Pubblicato sul giornale “Shqip” il 6 luglio 2010)


Oggi il nostro paese si chiama Albania, per cui veniamo riconosciuti come albanesi, ma cinque secoli fa e ancora prima si chiamava Arbëria e noi eravamo arbëresh. E’ il nome con cui nasciamo come nazione. L’intera Europa e tutti i continenti del mondo scrivono nella cronaca delle loro mappe Albania proprio perché spinti dal nostro nome d’infanzia. In seguito, per diverse ragioni,alcune ancora discusse, tra cui non risulta assente la teoria che vede i nostri connazionali, in seguito alla morte di Scanderbeg e l’occupazione finale delle nostre terre, con il fine di fuggire alla vendetta dell’impero ottomano, quindi
“nascondersi”, adottare la conversione, abbandonando il vero nome per un altro di diversa pronuncia, Shqipëri. Così ormai siamo un popolo e un’etnia dal doppio nome nazionale, uno utilizzato tra di noi e un altro all’estero. La parola Arbëria la pronunciamo solo quando ci riferiamo a molti centenni prima,quindi alla storia.
Ma la nostra particolarità non finisce qui, prosegue. Il nome Arbëria non si è spento, non è scomparso o è stato dimenticato. Esiste, è vitale, opera, vive di vita propria. L’Arbëria non si trova qui, nelle nostre terre, ma oltre il mare, in Italia. Essa ha emigrato. Di la, nella penisola italica, come tutti sappiamo, vivono da più di cinquecento anni i nostri connazionali emigrati durante la resistenza contro l’invasione islamica ottomana: gli arbëresh. Sono
stati proprio loro a compiere un miracolo, al giorno d’oggi raro in tutto il globo: hanno preservato l’Arbëria. La portarono con loro e con mille sofferenze fisiche e morali oltrepassarono il mare. In quelle navi e barche deboli anche per la più piccola tempesta, oltre ai bambini e ai genitori, alle icone cristiane e qualche baule con il vestiario solo strettamente necessario,portarono nel cuore le canzoni e le danze, l’intera memoria storica, la loro
completa identità. Si trattò di una grande ricchezza non composta da materia, ma da un ampio respiro spirituale. Poiché di questo si trattò, di ogni cosa che avevano posseduto nel loro paese natale, quello che portarono sul territorio di un altro popolo fu la patria stessa.
Viaggiando oggi lungo la campagna e i paesini arbëresh, i quali sono ormai quasi cinquanta e la cui popolazione oltrepassa le centocinquanta mila persone, senti confermare l’esistenza dell’Arbëria. Essa non occupa un determinato
spazio territoriale, quindi non è uno stato classico, non ha un proprio governo, il contrario sarebbe impossibile. Gli arbëresh sono cittadini italiani, perfino tra i più corretti. Eppure anche se con lo status di minoranza linguistica, in verità anche culturale, essi sono stati capaci di mantenere in vita un’Arbëria virtuale. Oggi lo stato moderno è cultura e senz’altro la cultura ha la forza di costituire uno stato. Poiché conservarono per cinquecento anni la lingua e la loro tradizione spirituale materna, l’immagine dell’Arbëria risulta oggi così vicina da sembrare che l’opera sia stata compiuta da un’intera amministrazione, la completa struttura di uno stato forte.
Al giorno d’oggi gli albanesi si sono organizzati in due paesi. E’ da decenni ormai che entrambe le parti visitano l’un l’altra, in particolare i connazionali del Kossovo si spostano verso l’Albania. A causa di infinite cause e (non) ragioni questo non si verifica con noi che ci troviamo dall’altra parte del mare, nei Balcani, con l’Arbëria. Fino al giorno in cui ci sposteremo senza sosta da una costa all’altra, abbattendo le barriere da altri e da noi innalzate, sentendo prossima la caduta di almeno un muro! Tra pochi mesi sarà possibile superare i confini dei paesi dell’Unione Europea, di conseguenza anche dell’Italia. In questo grande evento appare importante non dimenticare di
portare a compimento una cosa, dai tratti di un gesto benedetto: cogliere l’occasione di visitare l’Arbëria. Sarà un grande evento significativo, indimenticabile, pieno di ispirazione, che rende più bella la vita e la carica
di significato. Solo chi ha visitato i luoghi arbëresh sa cosa si prova quando si sente pronunciare la nostra lingua di cinquecento anni fa, mentre si entra nei musei etnografici per poter vedere il modo in cui hanno vissuto i nostri avi (ogni paesino o cittadina ne ha uno simile), mentre si ascoltano le canzoni e capita di trovarsi davanti ad un gruppo di danzatori durante un rituale di matrimonio o in una cena colma di infinite domande su come entrambe le parti chiamiamo gli uccelli, i fiori, i prati, l’acqua, il pane, l’agnello, la frutta, l’uovo del mattino...
Non solo in Puglia, nei dintorni di Lecce, ma anche in spazi più densi arbëresh, in Calabria e fino alla periferia di Palermo, in Sicilia, è possibile vedere lungo le autostrade in tabelle bilingue i nomi di Spezzano Albanese,
Machia Albanese, San Cosmo Albanese, Vaccarizzo Albanese, San Giorgio Albanese, Santa Caterina Albanese, Falconara Albanese, Piana degli Albanesi, San Costantino Albanese, San Paolo Albanese... Si diventa testimoni di come la
cittadina arbëresh di Lungro viene chiamata nella parlata dei nostri vecchi connazionali Ungrë, Civita diventa Çifti, San Demetrio Corone Shën Mitër....
Oltre ai paesi che accrescono l’orgoglio nazionale, gli spazi dell’Arbëria sono terre dalla grande bellezza turistica. Chiunque può trovare su internet interi pacchetti promozionali di imprenditori di Valona e dell’intera costa del sud, regioni legate storicamente agli arbëresh. Tra le molte recenti guide arbëresh quella di Margherita Celestino contiene 13 itinerari turistici.
Galatina, la cittadina in cui ha vissuto il nipote di Scanderbeg, Ferrante,così come molte altre famiglie nobili, è stata scelta dai tedeschi per l’acquisto della loro seconda casa e gli americani costituiscono la maggioranza
dei turisti a Civita oppure a San Demetrio. Ovunque mancano solo gli albanesi, tra cui anche circa mezzo milione di quelli immigrati in Italia dopo gli anni Novanta.
Dovremmo visitare più spesso l’Arbëria, la dove i nostri connazionali risalenti prima dell’invasione ottomana hanno innalzato virtualmente e conservato con malinconia infinita, ma anche con saggezza e cultura, il paese e la patria di cinque secoli prima! Forse all’inizio, come per dare il via a questo grande movimento, serve una spinta, un esempio: dovrebbe partire un gruppo di deputati, un’unione di giornalisti, un gruppo di imprenditori del
turismo, alcuni politici, poiché accademici e professori l’hanno già fatto. Sono stati gli unici a non mancare in Arbëria...
Ma perché sia davvero un grande atto storico dev’essere il popolo ad andare dal popolo. Sarebbe di grande aiuto questo contatto pieno di nostalgia, sarebbe un grande incoraggiamento per la loro permanenza. In Arbëria si sta avvicinando un veloce processo di globalizzazione, a volte incoraggiante e altre intimidatorio nei confronti di questa grande ricchezza linguistica e culturale, un tesoro per il quale non solo lo stato italiano, ma anche la BE sta
investendo attenzione, cura e fondi. Noi di qua ci troviamo ancora coinvolti dai problemi della transizione e i fondi sono pochi, seppure fino ad adesso qualche ministero, qualche comune come quello di Lushnje, alcuni gruppi di
individui o associazioni hanno regalato busti di Giorgio Castriota o come ultimamente a Civita quello di Pal Ëngjëlli, l’arcivescovo dello stato di Scanderbeg e capodiplomatico del nostro eroe europeo.
Un viaggio in Arbëria, ah se lo faceste!


Ylli Polovina

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